Ti giunsi frecciato del
sole nascente
come l’alba che
riconosce il giorno
e sbenda la cecità della notte
E la tua freccia fu chiara
d’un sornione cupido
che fa gioco del buio
e conosce il sorriso
del raggio inscritto ai
colori primari
e sa
già sa del corso
dei gradini scalati al cielo
in silenzio
tra gli angoli dei pioppi
sin dagli arbusti
Giunsi a te delle
battaglie infuocate
dei mezzogiorni d’acque
dei fiumi guadati che
cercano il mare
tra isole e terre inferme
continenti e sponde immobili
E m’inginocchiai alle tue erbe
tra orchidee e margherite
e le tue mele morse
ripolparono d’albicocche
fruttata
colorata
disarmato
nudo al tuo nudo sboccio
E conobbi l’eleganza del
prato che corona l’albero
e dei rami
che abitano gli aliti
dei respiri volati d’intreccio
La pellegrina
vestì il broccato della vita
e la sua pelle
vellutata di tatto
conobbe il mio letto
e i mari fusero le terre
e le terre ammararono le gocce
Le formelle dei tempi
ossarono il prezioso
la ossarono d’ora
azzurra cantata di battiti
e ruggiti appassionati di vene
I castelli
tutt’attorno
spalancarono i
passi degli sposi
e ancora cantano
di cinto e ricami
le orme del compreso
Tutto
tutto si comprese di
trapunta di lune
e i sogni passati
vissero i sospiri abbracciati
e riscrissero
già
riscrissero
i piumaggi dei pavoni
Le corti sensarono i
loro giardini
e le tue corolle
ai miei steli
bevono il succo
d’acqua e linfa
unico
misturato
ineguagliabile
e l’altare d’un tempo
spoglio al velo
capovolto al tempo
fiorisce ora delle
pietre scalate
e di ogni mariposa
A fronte alta
sellata di me
risplendi di te e
mi dilaghi
come l’oro
alla camera del cuore
e le chiavi
incrociano il manto
del prenderti e riprenderti
di conchiglia piena
del canto d’oceano
francesconigri©07.08.2014
Camera d’oro, Castello di Torrechiara