Ne ricordo Il fogliame
tondeggiante e già setoso
seppur bambino
come lo sguardo al
cielo d’un maggio ai
vagiti di marzo
rondini
primavera che canta ai
colori di respiri ampi
col profumo di quel mare
che culla i gabbiani
del doppio delle onde
schiuma e sale
agognato
sabbia fecondata di risacca
Nelle notti neniava il
profondo al suo rizoma
e al giorno
già precoce il fusto
ai raggi di sorriso
ligulato di
sole a mezzogiorno
D’arancio in contrappasso
come la fame derisa dall’oste
o le nozze attese e poi
sbocciate in gigli
ora sanno dell’aspra scorza
che spruzza l’amaro alle papille
incandito nè scialbo
dimentico il colore a sè
desso
Ne ricordo il fogliame
e lo rivedo in sogno d’oggi
lobato
come insenature sperse e sperdenti
d’un labirinto d’acque in fango
Sì
ho colto ricolto
gerbere di arancio
E le ho poste in vaso
sul comò dell’anima
intimo e solare
campana sacra
di mare ed orizzonti
in un cristallo di tempi
Lì
morte ed aria si
sono scontrate
asfissia d’un volo irriverente
ai viali acclivi della vita
o cieco abitrio
d’uno stelo al suo
mattino ottuso
Tutto è secco
strozzato
coltivato ai nodi
ed invissuto al suo reciso
S’è perso pure l’umido
arido Il coccio
a febbre d’afa e
dei suoi fumi
Sembra una coppa di rancura
più bevuta a morsi di locura
Si desertano i rimembri e
solo il sangue
il sangue solo
rigagnola allo scorrere
E dolora
questo silenzio delle gocce
per la morte di quel fiore
che volle viversi
desso
del suo volo
Locura
locura di rancura
francesconigri©04072018