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E l’acqua madre partorì il suo sale
come di onde vergini alle vasche
presa d’idrovore e travasi in sangue
al salante precipitò i cristalli

Spesso e vasto il suo letto chiaro e fermo
quasi un’àncora al cielo del sipido
che i gabbiani ne fuggivano il chicco
al timore della troppa saliva

Accettò il frantume ai telati sacchi
e le scatole della carta grigia
per un sorriso di tavola e labbra
che fa pietanza l’attimo che carna

La vena reclamò oceani e stagni
per farne salmastro d’ogni fiumana
nebbie e pioggie colorò dell’autunno
e gli inverni ne scrissero i marosi

Gl’impeti modellarono gli scogli
come d’un petto gonfio di palpiti
e le battigie sempre l’attendono
di quel ricamo di pizzo di schiuma

Ricordo e non ricordo quell’istante
del granulo che il suo fluire dona
mi basta quel sapore in bocca e cuore

che mi fa mare ch’osa e dà lo spesso
e vi ritorna folle e un pò testardo
di piena in secca in banchi e squame amando

francesconigri©07.01.2014